Dance First – looking for Beckett (and not wholly succeeding)

Due sere fa sono andata ancora al cinema a vedere (in lingua originale) un film che mi attirava molto, e non solo per il bel titolo: Prima danza, poi pensa – Scoprendo Beckett. Sullo e dello scrittore e drammaturgo irlandese non leggevo più nulla da più di trent’anni, da quando cioè lo portai come autore scelto per l’orale del concorso. Sentivo il bisogno di una rinfrescata, sperando di comprendere meglio le ragioni dietro il suo stile di scrittura unico. 

Sono rimasta un po’ delusa. Il film è molto lento e piuttosto noioso. In un dialogo con il suo “doppio”, la vita lunga e avventurosa di Beckett viene velocemente percorsa, focalizzandosi su episodi legati alle persone verso le quali provava un senso di colpa: le donne della sua vita (la madre oppressiva, la figlia schizofrenica di Joyce, la compagna rigida ma fedele per tutta la vita e l’amante che non lo abbandona mai) e l’amico ebreo che lo coinvolse nella resistenza francese, per poi essere catturato dai nazisti. Emerge una figura complessa, piena di contraddizioni, che attraversa momenti cruciali del XX secolo… Quel che a mio parere manca, e che avrei desiderato comprendere meglio, è lo spirito dell’autore dell’assurdo. Le opere per cui è diventato famoso restano nell’ombra, rendendo difficile cogliere il suo pervasivo pessimismo verso la vita o la sua capacità di rappresentarla attraverso un linguaggio ridotto al minimo, con un umorismo che mescola ironia, sarcasmo, assurdità e oscenità. Forse chiedevo troppo, forse non si può avere tutto da un film. Ma sarebbe stato fondamentale almeno non lasciare il bellissimo titolo sospeso alla fine.

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Two evenings ago, I went to the cinema again to watch a film that I was looking forward to seeing, and not just because of its great title: “Dance First”, a biographical film about Samuel Beckett. I hadn’t read anything by or about the Irish writer and playwright for more than thirty years, since I’d chosen him as one of the authors to study for my teaching examination. I felt the need for a refresher, hoping to better understand the reasons behind his unique writing style.

I was somewhat disappointed. The film is slow and rather dull. In a dialogue with his “double,” Beckett’s long and adventurous life is swiftly traversed, focusing on episodes linked to the people towards whom he felt guilty or remorseful: the women in his life (his oppressive mother, Joyce’s schizophrenic daughter, the stern yet faithful lifelong partner, and the lover who never abandoned him) and the Jewish friend who involved him in the French Resistance, only to be captured by the Nazis. A complex figure emerges, full of contradictions, traversing crucial moments of the 20th century… What, in my opinion, is missing, and what I would have liked to understand better, is the spirit of the absurdist author. The works for which he became famous remain in the shadows, failing to capture his pervasive pessimism towards life or his ability to represent it through a language that is stripped to the minimum, with a humour that blends irony, sarcasm, absurdity, and obscenity. Perhaps I was asking for too much, perhaps one cannot have everything from a film. But they could have at least not left the intriguing title hang at the end of the film.